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“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”: come scoprire per caso la bellezza

“Un acceso silenzio brucerà la campagna come i falò la sera”. Un poesia essenziale che mi ha talmente rapito che l’ho letta e riletta mentre bevevo uno spritz a largo Antignano, tra noccioline e patatine, immersa e sommersa dalle voci della gente. Ieri per puro caso mi sono ritrovata tra le mani un libricino di poche pagine di Cesare Pavese: “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Ero in libreria per comprare uno dei suoi romanzi (non ne ho mai letto uno) ma poi la commessa della nuova Mondadori di via Luca Giordano mi ha messo tra le mani questo libro. E, inutile a scriverlo, l’ho letto in una sola sera. Io non leggo poesie dai tempi della scuola. Mi sono sempre concentrata sui romanzi. E che pensavo, e penso ancora, di non capirle e di non riuscire ad entrarci dentro. Ma mi son voluta mettere in gioco, così ieri sera le ho lette tutte prima di addormentarmi.

Mi hanno completamente travolta. Non so, le ho sentite vicine, molto vicine a me. Sono pervase da un senso di solitudine e inquietudine che non appartiene al mio presente ma solo al passato. Una nostalgia e una malinconia di cui né io né Pavese forse possiamo e vogliamo  liberarci. Ho pensato, come nella poesia che apre questo posti, ai falò della mia vita. A quel fuoco che riscalda l’anima che si diffonde sempre nel silenzio. Chissà perché il fuoco, che è uno dei nostri istinti primordiali, ci rapisce i pensieri così.

Un’altra poesia termina così: “sei riarsa dal mare, come un frutto di scoglio, e non dici parole e nessuno ti parla”. Non dici parole e nessuno ti parla. Quante volte ho provato questa sensazione. Il mutismo assoluto perché nessuno riusciva a scalfire i miei pensieri. Oggi ho scoperto che ci sono dei poeti che sanno farlo solo con le parole. Senza parlare.

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